Una sola ora e un dispositivo innovativo, simile a uno smartphone: potrebbero essere questi i due fattori sufficienti a diagnosticare nel prossimo futuro la clamidia, un’infezione a trasmissione sessuale largamente diffusa soprattutto nella fascia di popolazione femminile più giovane. Il nuovo strumento high tech, messo a punto da un gruppo di ingegneri biomedici della John Hopkins University di Baltimora, negli Stati Uniti, è stato presentato al Congresso dell’American Society of Mechanical Engineers NanoEngineering for Medicine and Biology.
La parola d’ordine è tempestività diagnostica e terapeutica: due elementi chiave per frenare la diffusione della clamidia, un’infezione intima, a prevalenza femminile, causata dal batterio intracellulare Chlamydia trachomatis . «Nella maggior parte dei casi - spiega Jeffrey Klausner, specialista in malattie infettive al Ronald Reagan Medical Center dell’Università della California di Los Angeles -, le infezioni da clamidia non vengono diagnosticate in tempo e quindi non adeguatamente trattate, aprendo la strada a tutte le implicazioni che ne conseguono: prima fra tutte il contagio e le ripercussioni sulla salute, non soltanto dell’apparato riproduttivo». Un problema, quello del ritardo e dell’accuratezza diagnostica, che potrebbero essere superati dal dispositivo speciale, nuovissimo, di invenzione statunitense. Costituito da due elementi, lo strumento high tech, grazie a delle cartucce dotate di sfere magnetiche, dapprima cattura il campione di materiale cervico-vaginale da esaminare, amplificandone il DNA, poi una sorta di telefono cellulare, collegato a un bluetooth, fotografa e proietta su uno schermo gli esiti del materiale prelevato. Il tutto in tempi quasi record: all’incirca un’ora, contro gli attuali tre giorni necessari alla diagnosi; una conquista preziosa, dicono gli esperti.
L’antibiotico giusto al momento giusto
«La diagnosi precoce - precisa Dong Jin Shin, ideatore del dispositivo - permette di somministrare in maniera tempestiva l’antibiotico giusto, evitando il rischio di sviluppare antibiotico-resistenze». Un problema, quest’ultimo, in costante crescita negli Stati Uniti e nel mondo, Italia compresa, che sta creando seri limiti nella risposta terapeutica dell’organismo ai farmaci somministrati e, dunque, al controllo e alla gestione di moltissime patologie. Le aspettative diagnostiche sul dispositivo non si fermano alla clamidia: i ricercatori ne auspicano l’utilizzo anche per confermare o escludere la presenza di diverse patologie quali meningite, sepsi e altre forme infettive che possono causare diarrea. Sebbene di utilità collettiva, il test potrebbe trovare impiego soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, grazie ai bassi costi diagnostici e alla facile procedura di utilizzo.
A tutti i gradi di infezione, anche quelli lievi, la clamidia è meritevole di attenzione e di un trattamento adeguato, in mancanza del quale si può correre il rischio di importanti ripercussioni per l’apparato riproduttivo femminile, compreso lo sviluppo nel 10-40% dei casi di malattia infiammatoria pelvica (pelvic inflammatory disease , PID), responsabile nella peggiore delle ipotesi anche di sterilità. I sintomi della clamidia possono comparire dopo una-tre settimane dal contagio, differenziandosi a seconda del sesso. Nella donna l’infezione si caratterizza con secrezioni vaginali, sanguinamento post-coitale, uretrite, disuria (emissione difficoltosa delle urine), dispareunia (dolore ai rapporti sessuali), infatti il batterio colpisce soprattutto la cervice e l’uretra. Sono possibili anche dolori addominali e/o al basso ventre, mal di schiena, accompagnati da nausea, febbre e perdite ematiche anche al di fuori del ciclo mestruale.
Nelle forme di infezione più serie di clamidia, potrebbe insorgere anche la sindrome di Reiter: una forma di artrite sieronegativa, spesso accompagnata da lesioni epidermiche e infiammazione agli occhi e all’uretra. Di norma la sindrome di Reiter si risolve dopo alcuni mesi con terapie mirate, ma in metà dei casi può permanere a lungo, anche diversi anni, dando adito a episodi ricorrenti di artrite che potrebbero sfociare in deformità e anchilosi. Se contratta in gravidanza, la clamidia potrebbe causare, nel neonato, congiuntivite e/o polmonite. Nell’uomo le manifestazioni più tipiche sono invece secrezioni o sensazione di irritazione e prurito nell’area genitale. Rari sono le infiammazioni, l’ingrossamento e il dolore ai testicoli e quasi assenti conseguenze più serie, come la sindrome di Reiter. La clamidia può essere trasmessa anche per via anale, provocando un’infezione al retto accompagnata da dolori, perdite e sanguinamenti, o attraverso rapporti orali e in questo caso infetta principalmente la gola.
La cura della clamidia è farmacologica sia nei pazienti con manifestazioni conclamate, asintomatici e dei partner. In linea generale, dietro prescrizione medica, possono essere somministrati per via orale antibiotici scelti fra azitromicina, tetraciclina o in alternativa, eritromicina o chinolone. Varianti terapeutiche sono necessarie in caso di gravidanza in cui si opta per farmaci a base di amoxicillina, eritromicina o clindamicina. La terapie è fondamentale, infatti il mancato trattamento della clamidia nella donna può portare a manifestazioni, a breve e lungo termine talvolta anch’esse silenti, che possono includere infiammazioni pelviche che interessano tube, utero e tessuti circostanti, fino a danni permanenti alle tube, infertilità, gravidanze extrauterine e un elevato rischio per altre malattie a trasmissione sessuale, prima fra tutti l’AIDS.
Il preservativo riduce di molto il rischio
L’esecuzione di uno screening annuale con test sierologico (meglio se attuati con tecniche di amplificazione dell’acido nucleico (nucleic acid amplification test , NAAT) è raccomandata a tutte le donne sessualmente attive sotto i 25 anni di età, ma soprattutto a donne di ogni età che cambiano frequentemente partner sessuali, e sempre in stato di gravidanza. Questo perché il rischio di re-infezione e di serie complicazioni, in caso di contatto con soggetti infetti è molto elevato. In presenza dell’infezione occorre astenersi da qualsiasi attività sessuale e ripetere il test 3-4 mesi dopo la cura, mentre è sempre raccomandato l’uso regolare di preservativi che riducono sensibilmente il rischio di infezione.
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