I colloqui in Turchia sembrano poter aprire spiragli di dialogo tra Russia e Ucraina, ma farsi illusioni circa un negoziato rapido ed un accordo a breve sarebbe un’ingenuità imperdonabile. Le difficoltà hanno a che vedere anche con le pressioni che gli USA esercitano su Kiev perché rifiuti l’unica possibilità di accordo: ovvero le garanzie di sicurezza alla Russia che non si vollero ascoltare prima del conflitto.
Il fronte statunitense tra insulti e minacce non pare però aver molto da proporre oltre una guerra su un territorio altrui, con morti di altri paesi e armi statunitensi. Le diverse riunioni svoltesi in Europa con sigle diverse ma tra gli stessi Paesi, hanno avuto in comune l’omaggio formale al comandante in capo dell’Occidente, Joe Biden, e il dissenso sostanziale, seppure non gridato, dei paesi che non appartengono al cerchio magico della struttura di comando della Nato, ovvero quelli che rappresentano la cintura di sicurezza internazionale per le esigenze di dominio planetarie di Washington. Se il vertice NATO e il G7 servivano a ricompattare tutti dietro agli interessi strategici statunitensi, l’obiettivo è stato mancato.
Proprio sul terreno delle sanzioni alla Russia, infatti, l’Alleanza si è dimostrata fragile. Non solo la Turchia - che della NATO è il secondo esercito - si è detta indisponibile a sostenere le misure economiche contro la Russia, ma anche membri della UE come Ungheria e Croazia, si sono dette contrarie allo scontro con Mosca. “Non siamo in guerra contro noi stessi” ha dichiarato il Primo Ministro belga Alexander De Croo, intendendo che l’Europa stacca quotidianamente un assegno di 849 milioni di Euro alla Russia che le fornisce il 27% del petrolio, il 40 del Gas e il 46% del carbone necessari alla copertura totale del fabbisogno energetico. Fare a meno di queste forniture obbligherebbe in tempi brevissimi un totale reset del sistema di approvvigionamento, con una durissima incidenza sulla bilancia dei pagamenti per l’Europa.
Per gli Stati Uniti l’impatto delle sanzioni alla Russia sarebbe relativo: le importazioni non superano un 8% del petrolio raffinato, il 5% del carbone e nemmeno l’1 per cento di gas del totale del fabbisogno. Ma le condizioni dell’Europa sono completamente diverse.
A maggior ragione dopo una crisi economica biennale determinata (anche) dalla pandemia, le misure produrranno infatti lo straordinario risultato di colpire più i sanzionatori che i sanzionati. Il che si evince dalla valutazione di anni di sanzioni che non hanno dato altri risultati se non delle perdite secche per i paesi europei. E se la riduzione dell’import/export alimentare era già un danno importante, le sanzioni sul terreno energetico con Mosca avrebbero come unico effetto quello di portare in recessione le economie europee.
L’ultima propaganda tenta di camuffare le sanzioni, definendole strumento utile ai fini di un regime-change, ma si deve ricordare che a tal proposito non hanno mai ottenuto questo scopo. Anzi, i paesi sanzionati hanno visto crescere la loro economia e i governi sanzionati hanno dimostrato una longevità molto superiore a quella dei paesi sanzionatori. Il Financial Times, nel 2020 in un articolo sosteneva che le sanzioni verso Mosca hanno rafforzato Putin e l’economia. Ma per gli USA sono ormai un tic nervoso che scatta verso chiunque e per qualunque opinione divergente con Washington: 9.421 sanzioni in un anno significano circa 26 sanzioni per ogni giorno che dio comanda, più di una sanzione l’ora. Ma sono illegittime, illegali e pure inefficaci.
Il conflitto ucraino è stato lo strumento scelto da Washington per aprire uno scenario di guerra nel cuore dell’Europa. Attraverso una serie di provocazioni anti-russe (tra le quali i golpe tentati in Bielorussia e Kazhakistan e la trasformazione di Donetzk e Lusank in bersagli per l’artiglieria ucraina) si è perseguito l’obiettivo della guerra e ora si lavora affinché essa perduri fino a configurare una sorta di Cecenia nel cuore dell’Europa.
Gli obiettivi USA sono militari e geostrategici. L’accerchiamento militare alla Russia tramite l’ampliamento della NATO serve ad aumentare la porzione di pianeta agli ordini diretti degli Stati Uniti oltre che ad aumentare i paesi membri dell’Alleanza, che destineranno il 2% del loro PIL in armi made in USA. Il che, per un paese che ha nel complesso militar-industriale il volano centrale della sua economia, appare come una soluzione perfetta per tenere in piedi controllo politico e militare, saccheggio delle risorse e allargamento del proprio impero ad altri territori. Quanto agli europei, costringerli a farsi carico di una situazione di guerra convenzionale o nucleare in Europa chiude definitivamente ogni ipotesi di progetto di esercito europeo, che avrebbe potuto avere come esito una partnership con gli USA e la riduzione della NATO a sistema di difesa del Pacifico.
Sul piano geostrategico l’obiettivo era incrinare l’aggregazione euroasiatica sul commercio, sulla progettazione di grandi infrastrutture e sulle direttrici energetiche. Dalla Nuova Via della Seta al gasdotto North stream 2, il processo di ammodernamento ed ampliamento delle strutture industriali euroasiatiche rappresentava una serissima minaccia per il dominio unipolare statunitense, che vede nell’Europa una sua colonia e non un mercato indipendente. Per gli USA, del resto, la sopravvivenza del loro modello economico si fonda sull’impedire la crescita dei suoi competitor commerciali, militari e politici.
Dunque se il terreno commerciale per produrre una distanza con Mosca non poteva ottenere successo, bisognava arrivarci percorrendo il sentiero all’inverso: rompere ogni vincolo tra Bruxelles e Mosca con una rottura politico-militare. La questione era trovare il modo di farlo ed il governo ucraino è sembrato adatto allo scopo anche per via della sua identità ideologica e dei suoi legami con l’apparato militare anglo-americano.
Per contenere Pechino gli USA avevano invocato problemi di sicurezza nazionale quando alcuni paesi europei avevano mostrato interesse al progetto cinese della Nuova Via della Seta. Per la Russia, invece, il terreno delle relazioni con l’Europa era ben più complesso, perché se con la Cina vi sono solo possibili partnership commerciali all’orizzonte e tutte nel quadro delle reciproche convenienze, con la Russia vi è un tema energetico che mette UE e Russia in reciproca dipendenza. Bloccare il gas favorisce gli USA ma danneggia tutti: la Russia perché l’approvvigionamento energetico all’Europa produce il 60% delle sue entrate complessive; l’Europa perché l’acquisto del gas russo copre il 41% del suo fabbisogno. Un destino intrecciato, dunque: solo che. Mosca può trovare altri mercati volgendo a Oriente il cuore del suo export, mentre la UE non è in grado di ricevere i volumi di energia che forniscono i russi ed agli stessi costi.
Da un punto di vista commerciale, infatti, non c’è modo di migliorare l’offerta russa. L’Europa non è in grado di riconvertire a breve-medio termine il sistema di fornitura energetica, a meno di non voler veder crescere la sua spesa ad un livello insostenibile; e comunque il gas USA non riuscirebbe a soddisfare le esigenze europee, nemmeno col sostegno del Qatar e di altre fonti. E del resto differenziare assume valore diverso se voluto o forzato: gli europei dovranno far ricorso a politiche di austerità energetica che in una bilancia commerciale europea in gravi difficoltà avrà ricadute sull’intera economia europea. In una fase di innalzamento dell’inflazione e in presenza di una recessione si produrrà una seria stagflazione.
Alla difficoltà di approvvigionamento energetico per gli europei si aggiungerà l’elemento strategico: gli USA saranno avvantaggiati commercialmente nel vendere a prezzi molto più alti e ad una qualità molto più scarsa il gas che non gli venderà più la Russia e questo porterà la UE a dipendere dal gas statunitense.
La Russia, invece, può tranquillamente differenziare il portafoglio-clienti per la vendita del suo prodotto, del quale c’è grande richiesta a livello planetario. Mosca è il principale produttore di una materia prima strategica e dispone anche della migliore tecnologia estrattiva e distributiva: se all’Europa non interessa più il gas russo, esso andrà in Asia e Africa, a strutturare ulteriormente lo sviluppo dei paesi che non dispongono dell’energia sufficiente per sostenere i processi di crescita industriale.
Dunque se l’abbandono della Nuova Via della Seta comporta una rinuncia all’ammodernamento strutturale europeo ed alla possibilità di ripensare una globalizzazione non legata in via di principio solo a procurare vantaggi al dominio unipolare statunitense, mettere in crisi l’Europa sul suo fabbisogno energetico rischia di portarla direttamente in recessione.
Sebbene il peso politico e geostrategico della Russia sia preponderante rispetto a quello economico, il default della Russia, annunciato a mezzo stampa dai media atlantisti per diversi giorni, non si è verificato. La Russia, a testimonianza di una economia sana, ha un indebitamento di 470 miliardi di dollari (erano 700 nel 2014) detiene riserve in divisa ammontanti a 640 miliardi di Dollari. Ha onorato il suo debito in valuta pregiata e, parallelamente a questo, ha annunciato come d’ora in avanti la vendita del gas all’Europa sarà accettata solo con pagamento in Rubli.
Con ironia involontaria il premier italiano Draghi e il ministro degli Estri tedesco Scholl, hanno definito la decisione di Mosca una “violazione contrattuale”. E’ curioso che chi ha bloccato il North Stream si ricordi ora delle violazioni contrattuali. Vi sono iniziative delinquenziali come il sequestro dei beni e dei conti bancari sia di istituzioni che di privati cittadini; si rompono contratti di partecipazione ad eventi di natura artistica, accademica, culturale e sportivi; si bloccano le trasmissioni per i media che sostengono anche solo una tesi parzialmente diversa sugli avvenimento e le cause che li hanno determinati. E si accusa la Russia di scarse libertà civili?
La verità che emerge prepotentemente da questo conflitto è l’impossibilità da parte dell’Occidente di mantenere vigenti anche solo uno dei precetti ideologici delle dottrine liberali alle quali dicono di ispirarsi. Si sente invece un odore di fascismo ormai difficile da nascondere, che come un tarlo delle società europee si risveglia quando il sistema entra in crisi ed il reset generale del dominio diventa una urgenza storica. Così è stato nel 1914, così nel 1939. C’è poco da sperare in una Europa che vende i suoi sogni e torna al passo dell’oca.
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contro Cuba a cura di: Fabrizio Casari Sommario articoli
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